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Futuro italiano. Scritture del tempo a venire

futuro_italianoa cura di A. Benassi, F. Bondi, S. Pezzini


pp. 264, f.to 17×24, 2012
ISBN 978-88-6550-150-4
€ 20,00

Con Futuro italiano. Scritture del tempo a venire l’esperienza dell’Elmo di Mambrino giunge alla sua terza tappa. Il proposito di radunare nuovi materiali, proposte metodologiche e operative intorno a un progetto di rinnovamento della critica tematica, viene ora a concretizzarsi nel segno del “futuro”. La proposta, ce ne rendiamo conto, è insieme difficile e generica: ma è anche, come ognuno vede, particolarmente urgente e attuale al di là di ogni parola d’ordine mediatica. Le preoccupazioni per il futuro della disciplina, per l’avvenire della critica letteraria in generale, o quelle più sostanziali riguardanti il futuro di varie generazioni e dell’intero Paese, non fanno che accrescere il pathos di un tema già di per sé antropologicamente basilare.
Come era accaduto nel caso di Per violate forme, chi cura il volume non ha trovato difficoltà a organizzare in sezioni il materiale pervenuto, per quanto esso fosse inevitabilmente eterogeneo e parziale (rispetto peraltro a una nozione di completezza piuttosto artificiale e astratta). Quegli aspetti del tema che nelle trattazioni particolari apparivano parcellizzati, diffranti, variamente declinati, sono emersi via via, raggruppando quasi da sé i singoli contributi in alcune “costellazioni”.
Quando poi si è trattato di ridisporre a loro volta le sezioni in un ordine, ci è sembrato adeguato aprire il volume con il gruppo di articoli che orbitano in vario modo attorno al concetto di profezia. La figura del profeta, o meglio la “postura profetica” – quale emerge ad esempio dallo scritto debenedettiano analizzato da Gervasi – è un modo archetipico in cui l’espressione umana ha legato la visione, l’immaginazione, la creazione del futuro di un’intera comunità alla “voce” di un singolo individuo. Pertanto, essa presenta delle invarianti che attraversano la diacronia; da Isaia a Dante, da Campanella a Pasolini, lo scrittore ha spesso indossato gli abiti del profeta, e d’altra parte la profezia si è da sempre avvalsa delle armi della retorica e della poesia. Le forme con cui la profezia si esprime sono soggette a un più vistoso mutamento, e anche il repertorio delle formule maggiormente fisse e sclerotizzate, in apparenza inscindibili da ogni messaggio che si voglia profetico, finiscono inevitabilmente per subire le deformazioni del contesto che le ospita, sottoposto a propria volta a processi di mutamento storico (come mostrano tra l’altro i contributi di Zanon, Alonzo e Bisi).
Il criterio cronologico è sostituito solo in apparenza, nella seconda sezione, da un criterio spaziale o geografico. In realtà, considerare la geografia del futuro italiano significa veder mutare l’idea di communitas coinvolta nella visione del futuro stesso, communitas che si allarga progressivamente dalla dimensione municipale a quella dello stato, fino a includere l’intera umanità e addirittura l’ecosistema planetario. Dopo la modernità, si potrebbe dire, il futuro è sempre più il futuro di tutti e tutte, e di ogni cosa.
In questo senso, i saggi di Urbaniak e di G. Rizzarelli da un lato, e quelli di Meda e Vignali dall’altro formano due dittici paradossali ma emblematici. Nel primo si misura il passaggio dagli ammonimenti per il futuro rivolti a una cerchia esclusivamente familiare, così come si esprime nel libro di ricordi di Bonaccorso Pitti, allo scontro tra il gruppo familiare e i moderni “disagi della civiltà” dei piccoli e grandi centri urbani, sullo sfondo di un paese in preda a traumatici mutamenti, nei racconti di Italo Calvino. Nel secondo dittico, la metropoli americana, nella visione dei futuristi, da città reale diviene incarnazione emblematica di un mondo avvenieristico, trasfigurato dal progresso tecnologico ma anche attraversato da brecce apocalittiche come quelle che poi saranno al centro delle distopiche proiezioni dei romanzi volponiani.
La terza sezione aumenta forse il gradiente di “italianità” del futuro, che in questo caso si pone come rappresentazione deformata di un presente le cui storture si vogliono denunciare. È indubbio che la frequenza di questo tipo di scritture del futuro nella letteratura italiana “moderna e contemporanea” denunci una carenza nella capacità di immaginare un futuro diverso dalla condizione che ci tiene e ci avvolge, e che è percepita come inesorabilmente segnata, definitivamente marcata da un passato irrimediabile e irredimibile; in questo senso, Risorgimento e Resistenza si specchiano, nei contributi di Torre e di Pich, sotto forma di promesse mancate, se non rivoluzioni tradite. D’altra parte, però, ogni critica del presente, se profonda e penetrante, può liberare visioni del futuro, come dimostra il legame che unisce satira e utopia nella tradizione letteraria: se ogni utopia, come critica del presente, può accogliere valenze satiriche, allo stesso modo ogni satira efficace possiede una carica utopica. Lo stesso genere fantascientifico, la cui ambientazione in Italia ha assunto storicamente caratteri del tutto particolari, appare asservito agli scopi che abbiamo descritto.
Infine, la terza sezione vorrebbe mostrare come le aporie del tempo declinato al futuro intridano la scrittura. In effetti, l’atto del comporre è già in qualche modo opposto al futuro nella misura in cui si voglia porre come qualcosa di perfetto, portato a termine, compiuto (laddove in realtà, una volta scritta l’ultima parola di un’opera, essa inizia una nuova vita, multiforme e sorprendente, nella ricezione).
La lotta con la morte che sempre la scrittura mette in atto si può reificare in una programmazione della propria condizione postuma (M. Rizzarelli), o in uno scacco esistenziale (che Lesnik si sforza però di leggere nel quadro di più vasti mutamenti delle idee di tempo, di speranza, di avvenire). In un senso più propriamente filosofico, il contributo di Confalonieri mostra come la poesia sia uno dei seminari privilegiati di un “discorso del futuro” che, se portato all’estremo, può giungere alle soglie della dissoluzione della stessa categoria presa in considerazione.

Dopo avere indicato quello che c’è, è inevitabile notare, e dedicare una riflessione, a quello che manca nella presenta raccolta di studi. La prima e più evidente mancanza è quella di contributi sull’utopia, intesa tanto come genere quanto come generica proiezione del desiderio nel futuro. Non si può trattare solo di una casualità, se è vero che la nostra condizione post-moderna (o come tale percepita e rappresentata) è segnata non solo dall’assenza di rappresentazioni utopiche ma anche dalla svalutazione dell’idea stessa di utopia. L’unica eccezione è qui il saggio su Moderata Fonte, nel quale però i gioiosi fantasmi desideranti di un mondo regolato dall’ “amistà” possono prendere vita solo in un ambito perfettamente separato dalla “città reale”, ad essi a sua volta perfettamente impermeabile.
Se del resto l’efficacia proiettiva di ogni utopia si basa su possibilità di rigenerazione riconosciute come insite nell’essenza stessa dell’umano – anche se lo stato delle cose presenti è disperato, opprimente e apparentemente immutabile – la “carenza di utopia” che viviamo non potrebbe essere allora il risultato della crisi profonda di un’antropologia latamente umanistica, che include tutto il Settecento e l’Ottocento “progressivi”? (Secoli, a loro volta, significativamente assenti dal ventaglio di applicazioni qui offerto all’attenzione di chi legge).
Ciò che è certo è che nelle rassegne e nelle analisi proposte sembra assente ogni visione positiva, mentre si riscontra un’inquietante presenza di quelle che potremmo definire con Spinoza «passioni tristi»: in primo luogo la paura (affetto che inaspettatamente si avverte, ad esempio, anche nella programmazione “a distanza” del destino di famiglia nel libro di Bonaccorso Pitti). A tratti, insieme, pare emergere una metaforica precisa che esprime una fede fragile, e continuamente minacciata, nella continuazione dell’esistenza e della scrittura, della quale uno specimen si può individuare nell’ambito semantico del giardino e della fioritura.
Un panorama pessimistico, insomma. Ma proprio gli ultimi tre contributi mostrano come anche laddove lo scrittore è apparentemente più solo – di fronte alla propria scrittura, alla propria personale visione del futuro o alla finitezza della propria esperienza umana e del proprio pensiero – in realtà dialoga sempre, più o meno implicitamente, con un pubblico, e forse addirittura con un popolo. È in questa capacità della letteratura di evocare, in qualche modo di creare un popolo che ancora non esiste, di convocare una comunità a venire, che si radica per noi una possibile speranza.

Dall’indice

La voce del futuro
Tobia Zanon – «Tempo verrà»: un’espressione tra desiderio e profezia
Giuseppe Alonzo – «Qui non se sogna per la selva obscura».
L’Acerba, il Dittamondo e il Quadriregio in polemica con il futuro dantesco
Monica Bisi – «Signaque de superis praedicta patientia mostrant»: retorica dela profezia nei sonetti di Tommaso Campanella
Paolo Gervasi – La parola dislocata. Profezia come presenza del futuro

Dalla città al pianeta. Geografi e del futuro
Martyna Urbaniak – Futuro e famiglia nei Ricordi di Bonaccorso Pitti
Giovanna Rizzarelli – Il futuro difficile. Tre racconti di Italo Calvino tra scrittura realista e trasfi gurazione fantastica
Ambra Meda – «Una scorciatoia verso il futuro»? Gli Stati Uniti nella letteratura d’inizio Novecento,tra avvenirismo e barbarie
Elisa Vignali – Tra passato e futuro. Il pianeta irritabile di Paolo Volponi
Anamorfosi del presente
Serena Pezzini – Il merito delle donne, dialogo di Moderata Fonte. Prove generali di un futuro impossibile.
Andrea Torre – Rose a Solferino
Federica Pich – Futuro come presente. Di alcune recenti narrazioni dell’Italia

La scrittura oltre la soglia
Maria Rizzarelli – Progetti di opere future. Visioni postume da Vittorini, Pasolini e Montale
Peter Lesnik – «In una barchetta di carta». Derive della speranza nella narrativa di Guido Morselli
Corrado Confalonieri – Fine dell’attesa: il futuro. L’apertura di un avvenire tra Leopardi, Montale e Zanzotto

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