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Ilaria Maior. Storia e alterna fortuna del capolavoro di Jacopo della Quercia

Ilaria del Carrettodi Marco Paoli


pp. 98, f.to 24,5×29, ill.col. e bn., 2016
ISBN 978-88-6550-537-3
€ 35,00

Usava allora, a metà circa del secolo scorso, che i bambini venissero portati dalle mamme ad ammirare la più antica delle madri lucchesi, morta proprio in seguito al travaglio del parto; e accadeva così che l’arte e la bellezza facessero ingresso nel nostro primo immaginario. Ilaria si prestava in effetti, con la sua perfezione estetica e la sua collocazione in Cattedrale, ad un passo dalla cappella del Volto Santo, a rappresentare quella fusione di bello e di sacro che la cultura popolare accoglieva senza particolari imbarazzi.
Non era stato sempre così per la lapidea signora di Lucca. In principio, appena posta davanti all’altare guinigiano del Duomo, l’avrà ammirata pure chi mal sopportava il governo del consorte, e probabilmente fu ben accetta anche a coloro che non avevano gradito la sua invasiva presenza nei pressi dell’altare del Sacramento. Erano tali il nitore formale e la bellezza del monumento da suscitare ammirazione in chi transitava in quella parte della Cattedrale. E il sentimento ne veniva coinvolto per la giovane età fermata dalla morte. La novità dell’opera dovette poi fare il resto: il corpo della donna adagiato su un sarcofago così diverso dai cassoni medievali che i Lucchesi vedevano addossati alle chiese dei Frati Minori e dei Domenicani e nel Cimitero di S. Caterina; non per la croce arborescente, né per lo scudo araldico scolpiti sui lati corti, già presenti nelle arche Guidiccioni in S. Caterina, ma per quel doppio corteo di putti alati, caricati di opulenti festoni di fiori e di frutta, che scorrono su ambedue i lati maggiori del sarcofago. Dieci piccoli guardiani del riposo di Ilaria che nessuno in tempi moderni, né a Lucca né altrove, aveva mai visto inseriti in un monumento, e che allora, per la prima volta avevano varcato il millenario confine dell’antichità classica. Proprio nella Lucca di Paolo Guinigi, che così tanto aveva puntato sull’arte e sull’esibizione del fasto per affermare la propria autorità, e per mostrare ai sudditi come la sua signoria potesse destare sorpresa e ammirazione.

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