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La povera nobiltà della trippa

povera_nobilta_trippadi Laura Rangoni


pp. 70, f.to 12×16,5, 2000
ISBN 978-88-7246-398-7
€ 4,00

 

La rivoluzione agraria del XII e XIII secolo vide il recupero dell’allevamento del bestiame soprattutto nei pascoli di collina e di montagna, in quanto le pianure erano intensamente coltivate. Questo consentì di aumentare la quota di carne presente nell’alimentazione quotidiana anche delle classi meno abbienti. Bisogna sfatare infatti il mito che i poveri non potessero acquistare carni per via del loro alto costo. Le frattaglie erano alla portata di tutte le borse, così come la carne di “contrabbando” di animali morti per incidenti, per attacco di lupi, azzoppati, ecc. Solamente dopo il 1500, come conseguenza dell’aumento demografico la carne torna ad essere un lusso, fino all’Ottocento. Le frattaglie delle bestie macellate venivano subito separate dalle carcasse e affidate per la vendita a rivenditrici, quasi sempre donne, che avevano piccoli banchi al di fuori dello spazio vero e proprio del mercato. La “busacha” era un piatto molto comune sulle tavole povere, così come le trippe che venivano preparate in molti modi, ma soprattutto in umido, con polente di cereali misti. Cotte in umido nei pentoloni classici dell’iconografia stregonesca, le trippe erano accompagnate da legumi e verdure, oppure venivano tritate e usate per fame gustosi ripieni e farcie. In quei tempi di fame che ci sembrano lontanissimi, un pezzo di trippa per una famiglia povera faceva la differenza tra la vita e la morte. Ormai per noi, popolo del consumo e dello spreco, la trippa è un breve ritorno al passato e alla tradizione tra una fettina e un cibo in scatola. A molti di noi mangiatori di surgelati e precotti, che non danno nemmeno più la trippa ai gatti, farà senso pensare di nutrirsi con carni considerate di scarto. Ma i nostri nonni se ne sono nutriti, ed hanno inventato gustose preparazioni che non è giusto dimenticare. Dobbiamo a quelle frattaglie, a quelle trippe lavate con il sapone da bucato nelle rogge e nei ruscelli dalle mani piccole e svelte dei bambini se siamo qui adesso.

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