Top Navigation

Gelato, «favoloso dolce ghiacciato»

gelatodi Luciano Luciani


pp. 80, f.to 12×16,5, 2007
ISBN 978-88-7246-813-5
€ 4,00

Già, il gelato. Oggi alimento largamente diffuso in ogni stagione e in tutte le classi sociali, anche le meno abbienti: per i figli del magro e asprigno dopoguerra, indissolubilmente legato all’idea di una sola stagione, l’estate; alla percezione della festa, del premio per una conquista faticosa, di una qualche promozione sociale.

Un gelato rappresentava la ricompensa per un esame scolastico felicemente concluso; faceva la sua apparizione sulla tavola (quando avveniva!) la domenica, a concludere con larghezza il pranzo insieme a parenti con cui non si poteva assolutamente sfigurare; oppure, consumandolo seduti ai tavoli di una gelateria, sanciva agli occhi propri e a quelli degli altri un passaggio di status, da quasi poveri a quasi piccolo borghesi. Ma il vero serbatoio dei piaceri dolci-freddi era la latteria sotto casa. Qui, un congegno elettrico di modesta tecnologia – un braccio metallico, terminante in una paletta – agitava ininterrottamente, in un recipiente di cilindrico alluminio, una panna densa e grassa, figlia del latte intero della Centrale: ancora di là da venire quello ‘parzialmente scremato’ ché lipìdi e proteine erano ancora ambìti e non aborriti come ai nostri giorni. Quella panna andava a guarnire gli unici altri due sapori possibili in quella modesta gelateria, una crema e un cioccolato, che, sposandosi con il morbido derivato del latte, realizzavano una sapidità rimasta a tutt’oggi indimenticabile: quella dell’infanzia, l’età dell’oro della nostra esistenza o almeno percepita come tale nella “tenerezza feroce del ricordo”. Allora per noi, il gelato rappresentava una liturgia importante almeno quanto il caffé per gli adulti, ma, al contrario dei ‘grandi’ non costituiva quasi mai un rito individuale: era, il più delle volte, collettivo. Aiutava a esorcizzare il caldo delle giornate estive da trascorrere in città, perché di villeggiatura non c’erano né esperienze né possibilità; era parte centrale delle prime, ingenue strategie del corteggiamento; sempre accompagnava le affabulazioni del dopocena: la televisione ancora non c’era. Sarebbe arrivata tra poco e per questo il nostro mondo, quello ‘povero ma bello’ degli anni Cinquanta, non sarebbe certo diventato migliore.

 

Comments are closed.