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Sapori Mitteleuropei. La cucina triestina

la cucina triestinadi Tatiana Silla


pp. 80, f.to 12×16,5, 2005
ISBN 978-88-7246-717-6
Esaurito

 

”Qui tra la gente che viene e che va dall’osteria alla casa o al lupanare dove son merci uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo passando l’infinito dell’umiltà”. Trieste, città di mare descritta così acutamente da Saba, nasce come emporio commerciale e come sede di compagnie assicurative e quindi con “la sua scontrosa grazia” utilizza osterie e caffè soprattutto per stipulare contratti e portare a buon fine affari. Ma, pur nella convivialità rude e nelle temperature rigide quando tira forte la bora, il cibo non rimane un mero pretesto per fare soldi, bensì, nel corso dei secoli, diventa una sorta di collante di cui andar fieri per popoli dalle tradizioni molto diverse. Parlare allora di tipicità triestina, in cucina come in letteratura, di primo acchito può sembrare un controsenso. Pietanze dai nomi austro-ungarici o slavi, contaminazioni venete, friulane greche, turche, della tradizione ebraica ecc… sembrerebbero far parte più di un menù proposto da un cuoco fusion in una grande metropoli che di un ricettario di una città di mare dell’estremo nord-est. Una cucina quindi in cui la tipicità e l’originalità risiedono nella rielaborazione di contaminazioni, gesto che ricorda vagamente quello compiuto dagli antichi Romani quando incorporavano nel loro pantheon divinità provenienti da territori appena conquistati. Ecco allora – solo per citare due esempi – comparire sulle tavole i sardoni in savor marinati come quelli veneziani con aceto e cipolle, ma senza l’uva passa e i pinoli oppure il gulasch, all’apparenza uguale all’originale ma che in realtà utilizza il pomodoro e meno paprica.

Questa koiné culinaria, frutto della rielaborazione di tradizioni talmente diverse, ha almeno tre strati riconoscibili nelle ricette che qui vi propongo: il primo è legato alla cucina popolare dell’altipiano carsico e dei dintorni sloveni e istriani; il secondo è quello raffinato alto-borghese portato dalle famiglie dell’amministrazione civile e militare imperiale o da quelle dei grossi commercianti di origine dalmata, greca e turca. Il terzo, infine, è legato alla cucina internazionale di altissimo livello che veniva servita sulle navi della compagnia del Lloyd austriaco.

Un pantheon culinario dolce piuttosto che salato però quello triestino, che ha eletto come luoghi di culto antiche pasticcerie e caffè di sveviana memoria. Basta sfogliare, infatti, l’indice delle ricette per rendersi conto della ricchezza e della voluttuosa sostanziosità delle torte e dei dessert. Una città “imprigionata” in un passato fatto di profumi di cannella, vaniglia e cioccolato, ben attenta a mantenere viva una sorta di memoria olfattiva collettiva come se soltanto grazie all’odore e al sapore di quei dolci ci si potesse sentire triestini.

Ed è proprio per evidenziare il bisogno dei triestini di mantenere a tutti i costi la “triestinità” culinaria che ho deciso di utilizzare i nomi delle pietanze in dialetto con la traduzione in italiano tra parentesi. Le dosi sono sempre specificate tranne che per alcuni dolci “a pezzo” e per olio di oliva si intende sempre un olio extra vergine di buona qualità. Ho “modernizzato” e rielaborato alcune ricette, come ad esempio il gulasch e le fritole, perché, sebbene io sia convinta che la tradizione vada rispettata e ricordata, sono anche dell’idea che i piatti, come le lingue vive, siano in continua trasformazione e vadano quindi adattati al presente. Per alcune pietanze ho aggiunto dei cenni storici sulla loro origine, per altre ho invece riportato l’origine etimologica del nome. In cucina, a volte, il nomen est omen. E giunti alla fine, non possono mancare i ringraziamenti. Vorrei ringraziare le innumerevoli persone che hanno sostenuto il mio progetto e che mi hanno dato dei preziosi consigli. Un ringraziamento speciale va alla casa editrice Pacini Fazzi, nella persona della signora Francesca, all’amico Federico Matteoni e alla mia carissima amica Sarina Reina, complici di tante chiacchierate enogastronomiche, e a mia madre che mi ha insegnato a cucinare e a cui dedico questo libro.

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